Questa è un detto che mi trasmise il musicista congolese Goma Parfait Ludovic durante il primo laboratorio che tenemmo a Livorno nel 2003; esso può servire come spunto per una serie di riflessioni sul tema del “Tempo"e su come vi sia una differenza profonda fra la concezione tradizionale africana e quella moderna occidentale.

Innanzi tutto, fermandosi al significato letterale, la frase sottintende che la cultura occidentale attuale ha del tempo una conoscenza solo esteriore, superficiale: in questo contesto “orologio” è sinonimo di esteriorità e “ritmo” di interiorità.

Inoltre è possibile approfondire ulteriormente il concetto sulla base della costituzione stessa dell’orologio che è meccanica e “quantizza”il tempo rendendolo, nella concezione dell’uomo occidentale, privo di differenze qualitative.

Il che vuol dire che l’orologio ci comunica una visione del tempo, (attraverso le informazioni che ci dà del corso della giornata) suddiviso in parti uguali senza nessuna differenza a parte il numero; in ciò esso contribuisce a restringe la conoscenza dell’individuo sulle determinazioni qualitative del tempo e spinge l’uomo occidentale a confondere sempre più qualità e quantità.

Secondo le conoscenze tradizionali africane, (che il cristianesimo in occidente condivide) ,il tempo è ciclico e non lineare e uniforme; esso ha differenze qualitative che sono in relazione, per esempio, al giorno e alla notte e ogni singolo momento della giornata ha un suo perché che lo differenzia da quello precedente e da quello successivo.

L’orologio meccanico ha inoltre reso possibile in maniera determinante lo sviluppo della velocità della vita nel mondo moderno; e il principio della “quantizzazione” si è trasferito anche nella musica attraverso l’uso sempre più grande del ritmo prodotto elettronicamente.

Se“vivere con lentezza” ha come scopo quello di contrapporsi al “vivere veloci” in questa opposizione vi è già implicito il riconoscimento di una differenza qualitativa e del tentativo di ritrovare, contrastando l’accelerazione alla quale come esseri umani il mondo attuale ci costringe, un ritmo di vita più equilibrato.

Ma, nella concezione tradizionale africana questo riequilibrio, che la musica (intesa nella unione di suono-danza-parola) può aiutare a realizzare, è comunque legato alla conoscenza di una “Storia Sacra” che trasmette, attraverso il mito della creazione dell’intero cosmo e della moltitudine di esseri visibili e invisibili che lo popolano, non solo le informazioni, che potremmo chiamare teoriche, ma anche, e soprattutto, i mezzi pratici per realizzare tale ricentramento.

Ogni tentativo di “vivere con lentezza” è, secondo tali conoscenze, destinato a produrre risultati superficiali qualora, l’uomo occidentale moderno non comprenda che la capacità di concentrazione, che etimologicamente indica proprio un ricentramento, non può svilupparsi in un individuo senza tradizione e senza radici ( due maniere di considerare la stessa cosa).

E per quanto possa “ritmare” strano agli uomini occidentali moderni, la loro tradizione cosmologica si trova principalmente nel cristianesimo. ( nonché, ovviamente, nell'ebraismo e nell'islam che però sono già "Oriente")